Accanto alle dipendenza da droghe e alcool, ve ne sono altre altrettanto significative e non semplici da affrontare e superare. Ce ne parla Fabio Pellerano, educatore professionale e autore del libro “Azzardopatia” per Amrita Edizioni. 



Siamo soliti pensare che le dipendenze siano per lo più circoscrivibili all’uso di droghe e alcool, sostanze che generano un cambio di umore, di stato d’animo e di percezione della realtà. Accanto a queste ve ne sono però altre non meno significative e difficili da superare, come le dipendenze da gioco d’azzardo, shopping, videogiochi. 

Lo sa bene Fabio Pellerano, educatore professionale che, dopo anni trascorsi in centri diurni per disabili, oggi lavora con persone che vivono una dipendenza dal gioco. Un argomento ricco e complesso che si interseca con temi altrettanto complessi: mafia, riciclaggio di denaro, potere economico, politico e legislativo, e che soprattutto genera tanta sofferenza. 

Da qui l’idea di scrivere un libro dedicato proprio a questo argomento, “Azzardopatia” edito da Amrita Edizioni. Una maniera per aiutare chi, da molti anni, vive una condizione psico emotiva fragile con abitudini radicate che si legano a bisogni da soddisfare non sono sempre e solo materiali.

«Una persona sviluppa una dipendenza per motivi biopsicosociali. Comportamenti che in alcuni casi hanno una memoria genetica, in altri casi sono legati a vissuti traumatici e fatiche di vita, e in altri ancora risentono del bombardamento pubblicitario a cui siamo sottoposti quotidianamente - oggi un po’ diminuito grazie al Decreto Dignità - che, direttamente o indirettamente, inneggia al vincere facile e cattura chi ha già delle fragilità di partenza e trova rifugio nel gioco come automedicazione dei propri malesseri. Lo stesso atteggiamento di chi fa uso di alcool e sostanze. Sono infatti identici i trattamenti clinici che impieghiamo, anche con i gruppi di mutuo aiuto» racconta Fabio Pellerano. 

Non è semplice venirne fuori, bisogna affidarsi, fidarsi delle persone che spesso danno indicazioni non sempre piacevoli per chi è un assiduo giocatore, come girare, ad esempio, con pochi soldi in tasca. Il gioco cancella spesso la vita e le abitudini di una persona, mette in secondo piano aspetti della quotidianità. Smettere di giocare significa anche recuperare il tempo ritrovato, imparare a gestirlo in maniera diversa, riprendere contatto con le proprie passioni. 

Spesso ci si accorge della gravità della dipendenza troppo tardi. Ci si rivolge ai centri di recupero dopo 10, 20 anni di dipendenza. Molte famiglie, per anni, restano in balia del parente giocatore che dice di voler smettere. Di fatto è impossibile venirne fuori senza un aiuto. Serve necessariamente un sostegno.

«Il mio libro nasce anche per questo, intercettare quelle persone che non conoscono i servizi, che non si fidano, non ci credono. Un'offerta di aiuto esiste, non è forse diffusa ovunque, ma è presente una rete di sostegno pubblica e privata. Spesso ci si trova davanti a persone che fanno difficoltà a riconoscere e ad ammettere di avere un problema e le strade che richiedono un cambiamento anche di approccio sull’uso del denaro sono faticose. Per ogni giocatore coinvolto ci sono dai 3 a i 6 familiari che si barcamenano per risolvere i suoi problemi, pagando anche i debiti. Il consiglio è di non sottovalutare e fare attenzione, farsi domande, accorgersi dei cambi di umore, dei comportamenti, delle abitudini» continua Fabio.

Si calcolano circa 18 milioni di giocatori in Italia, in questa cifra vengono conteggiati anche coloro che giocano una sola volta all’anno. Quantificare chi soffre di dipendenza da gioco non è semplice. Chi si rivolge ai centri di aiuto sono per lo più uomini, le donne fanno fatica a dichiararsi anche per una questione culturale. Nonostante si conosca il numero dei conti online in uso, il numero di macchine da gioco sparse in Italia e i punti vendita in cui giocare, non si riesce a quantificare con trasparenza quanti vivono questo disagio.  

I giochi sono strutturati per vincere piccole cifre, nel gratta e vinci, ad esempio, il premio maggiore di 500 mila euro lo si ritrova solo su 8 tagliandi. In totale i tagliandi sono 108 milioni. Ci sono molti biglietti piccoli con cui si vince la stessa cifra del costo del tagliando. Non si tratta di una vittoria, al massimo di un pareggio, ma i soggetti fragili la percepiscono come tale incentivando un meccanismo non sempre sano. 

«I giocatori vivono spesso la contraddizione di uno Stato che ha legalizzato il gioco pur causando serie difficoltà in molte persone. Come per il fumo, si ritrovano a criticare questo tipo di scelta, ma allo stesso tempo ad incentivarlo. Un governo dovrebbe essere a favore dei giocatori e non delle imprese, dovrebbe mettere in primo piano la salute degli italiani. I giocatori si rendono conto di essere dei veri e propri “polli da spennare”. Dopo 10-20 anni di dipendenza in molti casi hanno venduto appartamenti, accumulato debiti, a seconda della capacità economica di ognuno. Grazie alla legge “Codice della crisi” è possibile provare anche a sdebitarsi. Aggredire il debito è possibile, bisogna però smettere di giocare. Ci sono tutti gli strumenti per poterne venire fuori, basta solo riconoscere e accettare di aver bisogno di qualcuno per farlo!» conclude Fabio Pellerano. 

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